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Cos’è l’Industria 5.0: ricetta per un fraintendimento

Icone per innovazione e sostenibilità sullo sfondo di un campo.
Il concetto di Industria 5.0 può essere ricondotto a un policy brief dell’Unione Europea risalente a gennaio 2021. In questo documento emergono due aspetti interessanti: il primo, questo nuovo paradigma va ad integrare o, per citare il documento, “a completare” quello ormai acquisito dell’Industria 4.0; il secondo aspetto riguarda i principi fondanti del nuovo paradigma, ovvero umanocentrismo, sostenibilità e resilienza. 
Già da una prima lettura emergono criticità. In primo luogo, si assume che il paradigma dell’Industria 4.0 sia già stato universalmente recepito ed integrato, in secondo luogo, appare lecito chiedersi quali siano allora i principi fondanti del paradigma dell’Industria 4.0. A questo proposito, è utile ripensare alla definizione di terza rivoluzione industriale e notare che, per come era stata interpretata, potrebbe indicare senza troppe conseguenze la situazione attuale, escludendo quindi di essere realmente approdati all’Industria 4.0.

Indice dei contenuti

  • L’automazione industriale e la terza rivoluzione
  • Il piano di transizione 4.0
  • Industria 4.0, Società 5.0 e design human centered
  • Cosa possiamo fare per te

L’automazione industriale e la terza rivoluzione 

Si è concordi sul principio secondo il quale l’adozione diffusa di una determinata tecnologia innovativa determini un cambiamento talmente profondo da determinare quella che storicamente viene indicata come “rivoluzione”. 
La Terza Rivoluzione Industriale, ad esempio, si verifica a cavallo tra gli anni sessanta e settanta del ‘900 e ha come caratteristica quella di portare l’automazione nell’industria. A una prima fase elettromeccanica, si è approdati a quella elettronica e considerare quell’avvenimento come rivoluzionario non è una semplice opinione, ma un dato di fatto. L’automazione industriale, a partire da quel momento, non ha ancora visto, come si dice per le tecnologie, il proprio inverno. 
L’attualità non parla di una dismissione delle macchine automatiche, né di un disincentivo al loro utilizzo: l’automazione industriale ridistribuisce i carichi di lavoro nei reparti produttivi, sollevando l’uomo dallo svolgere pratiche insicure e inefficaci (benché lo preveda ancora in pratiche che sappiamo essere ripetitive). Non solo, l’automazione industriale ha permesso di gettare le basi per lo studio e l’ottimizzazione dei processi perché, oltre a una forza lavoro che chiedeva ritmi di produzione umani, altre variabili stavano rendendo necessario un controllo approfondito delle risorse. Così nel 1987, l’Unione Europea comincia a pronunciarsi sulla sostenibilità, uno dei principi cardine del nuovo paradigma 5.0, ben prima del 2011 (anno in cui fa la sua apparizione il termine Industria 4.0) e ben prima del 2021, l’anno in cui l’Unione Europea ha iniziato a parlare di Industria 5.0.

Il piano di transizione 4.0

Se nell’87 si è acquisita dimestichezza con il termine sostenibilità (almeno in teoria), è stato il 2020 a introdurre il concetto di resilienza. Sulla base della resilienza  il governo invita le imprese a effettuare investimenti 4.0, perché favorendo il Piano di Transizione 4.0 si aumenta la consapevolezza dei propri consumi in relazione alla propria produzione, permettendo una gestione più oculata della variabile dell’energia e anticipando le contrazioni tipiche di un mercato globalizzato, siano esse fisiologiche o impreviste. 
La resilienza - fa notare Marco Taisch, professore del Politecnico di Milano, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Transizione 4.0, Scientific chairman della World Manufacturing Foundation, nonché uno dei membri dell’Advisory Board che contribuì alla nascita del Piano Industria 4.0, veniva chiamata flessibilità nei primi anni duemila e aveva lo scopo di adeguare le pratiche aziendali ai mutamenti del mercato, sempre più repentini in ragione della globalizzazione. 
La sostenibilità aziendale, la resilienza erano termini noti prima ancora di parlare di Industria 5.0, ma allora perché parlare di un nuovo cambio di paradigma quando l’ultimo risale ad appena dieci anni fa?

Industria 4.0, Società 5.0 e design human centered

Keiju Matsushima è uno dei padri dell’Industria 4.0 e un luminare della robotica. Il concetto di Società 5.0 lo dobbiamo a lui, ma per comprendere la relazione di questo termine con quanto detto finora, occorre descrivere il contesto nel quale nasce il termine. 
Parallelamente alla diffusione del paradigma dell’Industria 4.0, intorno al 2005, Matsushima sostiene che i vantaggi dall’applicazione del paradigma, saranno accessibili solo a una società 5.0, ovvero una società che evolva dopo l’evoluzione dell’industria. A quel punto, e solo a quel punto, potremo parlare di un paradigma realmente integrato a sistema. Fa riferimento alle tecnologie utilizzate non più solo per la crescita produttiva ma per la crescita sociale, per la risoluzione dei problemi della società. 
Un processo cioè che si fonda sulla tecnologia abilitante dell’Industria 4.0, ma applicato a una società evoluta che lo sfrutterà per superare le criticità connesse ai paradigmi precedenti. Rispetto alle considerazioni dell’Unione Europea, il pensiero comune è piuttosto orientato a comprendere ciò che ancora manca al Piano di Transizione 4.0 e che consentirebbe il vero approdo alle tematiche dell’Industria 4.0, per definizione già orientate a quei pilastri che si vorrebbe associare all’Industria 5.0.

Cosa possiamo fare per te

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